Politica

Quote “rosa” o di democrazia?

Magda Terrevoli*
La nuova legge dovrebbe garantire sostanzialmente che almeno il 5o per cento degli eletti siano donne.
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Sta per terminare la raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare che, in attuazione dell’art. 51 della Costituzione prescrive, in tutte le competizioni elettorali (da quelle comunali, fino al quelle europee), candidature al 50% di donne e di uomini ), distinguendo tecnicamente le ipotesi nelle quali il sistema elettorale prescelto sia maggioritario (in questo caso il numero totale di candidate e candidati nei collegi uninominali deve essere pari), da quelle nelle quali il sistema elettorale sia invece proporzionale (in questo caso si prevede nelle liste elettorali un’alternanza di candidature "per genere").

Non è un cammino semplice, sono ancora tante le ostilità incontrate nella richiesta di una firma a sostegno di un percorso che in Italia sembra impantanarsi ancora in mille distinguo .

La comprensibile diffidenza nasce da un dato storico che la proposta di legge vuole di fatto capovolgere. E’ condivisibile l’antipatia nei confronti di un cammino che ha portato al fallimento di tutte quelle misure, ( peraltro censurate da una sentenza della Corte Costituzionale), che nel 1993 furono previste per rimediare le bassissime percentuali di donne nelle assemblee elettive

L’errata rappresentazione delle cosiddette "quote rosa", ci ha fatto precipitare nel paradosso di rifiutare uno strumento di eguaglianza sostanziale; classificandolo come elemento portatore di diseguaglianza, di fatto accogliendo la sentenza del 1995 che non accettava deroghe al principio di eguaglianza formale

Ritengo tale argomentazione discutibile soprattutto perchè  è basata su una falsa rappresentazione "storica".  L’esclusione del concetto di eguaglianza sostanziale dal campo dei diritti politici, mirando a garantire soltanto quella formale fu fatta dai Costituenti che certamente non si posero esplicitamente il problema di garantire una equilibrata presenza fra i sessi nelle Assemblee elettive, anche perchè, in materia elettorale, le donne non avevano avuto occasione d’ingresso, avendo votato per la prima volta nel 1946.

Non è  possibile assegnare un carattere assoluto a istituti o concetti nati in un universo soltanto maschile, nel quale, per forza di cosa, il problema della discriminazione sessuale non era stato ancora affrontato, e forse strumentalmente ignorato, dal momento che le donne non erano ancora presenti nel mondo politico.

Continuiamo a farci intrappolare in schemi che in altre parti d’Europa sono ormai obsoleti. In Italia continuiamo tuttora a ragionare in termini di sostegno al bisogno della parte più  debole , le donne in questo caso, che vanno per questo tutelate ed facilitate con strumenti legislativi che possano agevolare il loro ingresso nel mondo del lavoro ed in quello della rappresentanza.

Molto diverso l’approccio attuato in Spagna che, in particolare, con la legge organica n. 621/000084, "Sulla eguaglianza effettiva di uomini e donne", del 15 marzo 2007 nella quale si affronta il problema della parità uomo-donna a tutto campo – e cioè dal punto di vista del lavoro, della famiglia, dei diritti civili e anche della rappresentanza politica -, sulla base del presupposto che la realizzazione di una effettiva eguaglianza tra i sessi non sia soltanto un problema di (dis)eguaglianza, e quindi di rivendicazione paritaria ("un genuino diritto delle donne"), ma sia "un elemento di arricchimento della stessa società spagnola, che contribuirà al decollo economico e all’aumento dell’occupazione"

Il mio auspicio è che la proposta di Legge detta del 50 e 50 percorra questa strada. Come donne dobbiamo chiedere una "nuova" via all’eguaglianza formale,fondata su un modello paritario, il quale richiede che la parit? sia attuata, per entrambi i generi, sia nella sfera pubblica che in quella privata.

Dobbiamo concretamente lavorare per un concetto diverso di eguaglianza, quella sostanziale, per la cui realizzazione non è sufficiente che lo Stato riconosca in astratto i diritti, ma occorre che lo stesso si faccia carico di superare con appositi strumenti le discriminazioni sostanziali, assumendo un ruolo attivo, positivo.

E conseguentemente dobbiamo lavorare sul principio della partecipazione femminile alla politica non come richiesta di un gruppo minoritario, ma come naturale esigenza della società.

*Presidente Commissione regionale Pari Opportunità

giovedì 8 Novembre 2007

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