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Lavorare nel No Profit: nuovi scenari tra tutela e innovazione

Paola Mammarella
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Lavoro come dono. È la soluzione proposta dal terzo settore nell’ambito della conferenza informativa organizzata all’Hotel Excelsior dal Centro Servizi San Nicola. Centralità della persona in primo luogo, seguita dalla valorizzazione degli aspetti non solo retributivi. Spazio alla formazione continua, adatta per Vincenzo Leggiardo, presidente barese dell’Ordine dei consulenti del lavoro, a rispondere alle esigenze di una società che muta. Soprattutto a fronte di un crescente interesse verso il volontariato. Dalle indagini condotte dal CSV risulta che il 27% degli italiani è disposto a donare la propria opera, mentre una realtà come il gruppo Intesa San Paolo ha istituito la “Banca Prossima” per il finanziamento delle attività volontaristiche. Sono in fase di avviamento percorsi formativi per la gestione di imprese sociali. Principale argomento di studio gli scambi relazionali, l’insieme di rapporti nati dai tradizionali contratti a prestazioni corrispettive. In una parola prestare attenzione al contorno, rendersi conto di essere parte attiva sul territorio, “soprattutto quando decidiamo con che tipologia contrattuale assumere un lavoratore”, afferma Leggiardo. “Che il no profit stia generando valore è noto anche ai docenti della Bocconi”, interviene la professoressa Giuliana Baldassarre. Da sfatare l’idea di un’impresa necessariamente malata dato che, secondo la docente, esistono professionalità in grado di non sprecare le risorse, di essere sostenibili nel tempo, efficienti ed efficaci senza tralasciare la componente lavoratore.

Tipici dell’impresa sociale gli investimenti in capitale immateriale, derivati da una spinta aziendale che non tende a massimizzare il profitto, ma a raggiungere i propri fini attraverso la motivazione. Di importanza vitale la risorsa umana nelle società no profit, che offrendo prevalentemente servizi alla persona si basano sul front office e sulla serie di relazioni personali che ne derivano. Pericolose perché espongono il lavoratore al burn out. Il venir meno della motivazione rappresenta il rischio maggiore per le organizzazioni che, accanto ai dipendenti, si avvalgono di lavoratori volontari. Quando diverse professionalità convivono e si integrano senza sviluppare una propria autonomia, come invece accade nelle imprese tradizionali, la gestione del personale diventa più complessa. Se gli stipendiati si fanno allettare dallo sprone economico, i volontari vogliono trasformare la motivazione in partecipazione concreta. “Non bisogna dare per scontata la volontà di rimanere all’interno di una associazione solo perché ne sono stati fatti propri gli obiettivi”, continua Giuliana Baldassarre, “dato che anche nel mondo del volontariato esistono concorrenza e competitors”. Sistema da riformare il no profit a parere di Francesco Stolfa, avvocato giuslavorista del tribunale di Trani. Molte le strozzature da risolvere, frutto dell’incompatibilità delle condizioni attuali con la tutela dei lavoratori, giudicata per certi versi eccessiva. “I livelli di tutela esistenti sono il frutto di dure lotte, ma è sbagliato considerarli diritti irrinunciabili senza il perdurare delle condizioni che li hanno generati”, afferma Stolfa. “I soci non possono pretendere da una cooperativa ciò che il bilancio non può garantire”, continua.

Necessari chiarimenti sul rapporto di lavoro volontario, che ha diviso la Cassazione sulla possibilità di concedere un rimborso spese ai volontari. Problematiche anche le politiche retributive, impossibili da rivedere, così come i tagli al personale, anche in congiunture di crisi. Cammino lungo, che lascia intravedere uno scenario di maggiore dignità e responsabilità.

martedì 30 Ottobre 2007

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