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Bari per l’Autodeterminazione dei popoli, il post Nairobi

Paola Mammarella
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Comincia con un filmato su una giornata tipo in Kenya  la conferenza “Partire da Nairobi”, promossa dall’associazione Abusuan. Obiettivo ottenere uno sviluppo basato sulla cooperazione decentrata, come auspicato dal World Social Forum 2007 di Nairobi. Non è stata casuale la scelta della location, una capitale con 4 milioni di abitanti di cui il 60% abita in baraccopoli, concentrandosi nel 5% del territorio. Alloggi di fortuna distrutti con un preavviso di 30 giorni, dato su media irraggiungibili dagli interessati, per tenere fede alla promessa del nuovo governo di allontanare le “abitazioni” dalle discariche o dalle pericolose linee elettriche. Soluzione che non ha risolto, ma solo spostato altrove il problema baraccopoli.

Appare centrale il ruolo di Bari, “città mediterranea che guarda al Sud del mondo”. Parola di Pasquale Martino, assessore alla pubblica istruzione, politiche giovanili e per l’infanzia del Comune di Bari. La cooperazione coordinata a livello centrale dal Governo cede il passo al decentramento, supportato dai servizi comunali offerti ai progetti esistenti. Nutre buone speranze Nicola Occhiofino, vicepresidente del coordinamento nazionale enti locali per la pace e i diritti umani. L’ottica vincente per l’Africa sta nella rottura con l’assistenzialismo, perché “deve saper rifiutare e contare su se stessa”. L’Italia, dal canto suo, deve smettere di “bruciare risorse in armi”, convogliandole invece verso i progetti internazionali. Parte avvantaggiata la Puglia, unica regione  a precorrere i tempi nel ’97 con la dichiarazione di intenti col Montenegro, finita davanti alla Corte Costituzionale, e ad approvare la costituzione della Palestina.

Lamenta la scarsa attenzione dei media Antonello Zaza, assessore alla solidarietà sociale, pari opportunità, politiche dell’accoglienza e pace della Provincia di Bari, che auspica la creazione di sinergie tre istituzioni e organizzazioni. Pone l’accento sullo sviluppo sostenibile Giuseppe Savino, presidente dell’AMIU, che nell’attenta gestione dei rifiuti vede non solo la chiave per evitare l’emergenza ambientale, ma la possibilità di generare ricchezza con una vera e propria attività economica. È servita da esempio la collaborazione con la fondazione Kenda, che ha promosso la raccolta di tappi di polietilene, totalmente riciclabili, per finanziare la costruzione di due pozzi in Benin.
Sono molteplici i problemi da affrontare per tutelare la legalità e aiutare quanti finora hanno vissuto l’emarginazione a diventare soggetti del proprio sviluppo.

Arginare la povertà e la mortalità, garantire l’istruzione primaria, placare la piaga dell’AIDS. Difficoltà da affrontare in modo unitario, pena il fallimento nel raggiungimento di tali obiettivi, fissato dall’ONU per il 2015. L’importante è non lasciarsi andare ai “buonismi miliardari”, ma investire in cammini concreti come il commercio equo solidale o la banca etica. Perché a detta di Padre Longhi, missionario comboniano, non ha senso adottare a distanza un bambino per poi investire in una banca che, finanziando i traffici d’armi, distrugge il mondo che lo circonda. Si basa sullo stesso principio il microcredito, illustrato da Teresa Masciopinto, responsabile territoriale della Banca Etica. Il sistema permette a una donna appartenente a un gruppo di avviare piccole attività con effetti a cascata sulla solidarietà, la fiducia e la dignità umana. “Assolutamente da evitare l’errore di replicare un modello nostrano altrove”. Con questo must Brando Amantonico, responsabile della Ong CISS (Cooperazione Internazionale Sud Sud) mette in guardia dal rischio di far entrare nei progetti le componenti private, potenzialmente colpevoli di far diventare la cooperazione decentrata meno sostenibile e antropocentrica. È importante che le iniziative siano sentite come proprie dalla gente del luogo, non imposte dall’esterno. Solo così possono sopravvivere alla partenza degli operatori, conseguendo il tanto cercato sviluppo autonomo.

Altrettanto rilevante è cambiare la mentalità in Italia. Abbandonare l’idea che i poveri siano predestinati, avviare una vera formazione volontaristica, slegata dai finanziamenti delle istituzioni.Valorizzare il commercio solidale, che nei prodotti non vede solo un bene di consumo, ma la storia di un popolo e del suo sistema economico. Perché, come sostiene Sergio Scancelli dell’osservatorio Sud, la povertà non si vince con l’elemosina, ma tutelando l’autodeterminazione dei popoli.

giovedì 1 Febbraio 2007

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