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L'imbarazzante politica estera di Bush conferma un trend storico e (ahinoi) niente affatto esemplare
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Il nostro corsivista, oggi, si dedica a quanto deciso, per tutti gli Americani, da George W. Bush, ripercorrendo gli ultimi 60 anni di politica estera statunitense che, purtroppo, ha spesso coinciso con un’intensa attività bellica.

Infine, il tanto atteso discorso di Bush alla nazione sulla nuova strategia in Iraq è arrivato. Atteso forse più dagli Iracheni che dagli Americani, i quali già ne sospettavano i contenuti. Contro ogni logica, perfino quella dell’interesse del Paese che attraversa una crisi economica che difficilmente gli consentirà di sostenere a lungo le spese della guerra, almeno altri 20.000 soldati saranno spediti nel Golfo per tutelare la stabilità dell’Iraq. L’unico commento a questa affermazione è che nemmeno gli americani credono più alle parole del loro Presidente. Già perché negli Stati Uniti è difficile ottenere informazioni credibili, al punto che gli Americani erano convinti, in seguito ad una adeguata campagna mediatica, che tutto il mondo sostenesse la loro iniziativa irachena. Solo i pochi che leggevano quotidiani europei si sono accorti delle forti resistenze internazionali all’invasione “oil for food”. Eppure, sono stati proprio loro a rieleggere il “Presidente di guerra”, come lui stesso si è definito.
Le ultime stime parlano di 600.000 morti tra i civili iracheni, ai quali vanno aggiunti tutti i morti causati dall’embargo posto dagli Stati Uniti allo Stato dei due Fiumi. Perfetto stile U.S. Del resto, tracciando una breve cronistoria che tratta solo degli episodi più rilevanti si può vedere come i paladini a stelle e strisce non si smentiscano mai.
1944-45: gli americani liberano l’Italia avanzando come nemmeno Attila era riuscito a fare. Mia nonna viveva sulla linea di Cassino e mi raccontava che tutti temevano i raid americani e in diversi ci lasciarono le penne. Finita la guerra furono proprio gli Americani a impedire l’opera di defascistizzazione dello Stato, temendo uno sbandamento rosso di una Nazione che i Grandi Capi, riuniti attorno ad un tavolino di Yalta, avevano deciso essere di confine alla sfera di influenza occidentale.
1964-75: Vietnam. Instaurazione di un governo fantoccio nel Sud del Paese. 600.000 morti tra i civili in una guerra che ha avuto solo il potere di destabilizzare l’intera regione per anni, facendo vivere nel terrore la popolazione locale, che ancora oggi patisce malattie a causa dell’uso del defoliante con il quale gli yankees hanno irrigato tutte le mangrovie della regione. Guerra persa.
1991: Prima guerra del Golfo. L’egida dell’O.N.U. limitò l’azione americana e la popolazione irachena patì solo qualche migliaio di vittime. Ovvio, poiché ancora Saddam Hussein era il loro uomo in una regione chiave quale l’Iraq, vuoi per le riserve di petrolio, vuoi per avere un cuneo politico in mezzo ad un mondo, quello islamico, a loro sfavorevole.
1992-93: Guerra somala. Rovesciato il dittatore Siad Barre, aiutato dagli americani negli anni ’80 per la conquista del potere, gli Stati Uniti intervengono alleandosi con parte dei signorotti locali, ma perdono il conflitto e si ritirano velocemente, anche a causa del cambio di amministrazione Bush padre-Clinton. La Somalia viene lasciata in mano ai signori della guerra. Risultato: dagli anni ’80 uno stato continuo di guerra civile prostra il Paese, come dimostrato anche recentemente dalla cacciata delle “Corti Islamiche” che avevano l’appoggio della popolazione.
1995-99 Guerre della Bosnia e del Kosovo. Ma qualcuno ricorda che, fino a quando Tito è rimasto in vita, di odi razziali in Jugoslavia non si è mai sentito parlare? Le famiglie erano totalmente mischiate. L’intervento americano è passato sopra alle pulizie etniche effettuate dai Croati e Albanesi, concentrandosi su quelle Serbe. L’intervento è stato deciso unilateralmente con un atto di forza all’interno della N.A.T.O., scavalcando l’O.N.U. In pratica, oltre alla difesa del progetto dell’oleodotto che doveva passare da quelle parti, non si può parlare di un successo americano. Ricordo con orrore la tragedia delle bombe su Belgrado: gli aerei americani partivano dalle basi italiane, generosamente concesse dall’allora Presidente del Consiglio D’Alema. Altro argomento di freschissima polemica tra i poli. Eppure molti italiani dovrebbero ricordarsi il rombo di quegli aerei.
Vero prototipo della “Democrazia esportata con le bombe”: dopo il raid aereo seguiva un altro raid che sganciava volantini e viveri dei quali avrebbero beneficiato i sopravvissuti.
Strage di civili, alla quale si deve aggiungere quella dei tumori futuri provocati dalla semina di migliaia di pallottole potenziate con uranio impoverito.
2001: Afghanistan. Lo stato di guerra perdura fino ad ora. La motivazione ufficiale della guerra è stato il rovesciamento del regime talebano, aiutato in precedenza dagli americani stessi, poiché ritenuto responsabile del sostenimento dei terroristi internazionali. Casualmente da quelle parti passa un altro grande oleodotto, ma questa non può che essere una coincidenza. A parte Kabul, non si può certo dire che i soldatini americani se la stiano cavando bene. Anche qui è stato instaurato un governo fantoccio, non si contano i morti tra la popolazione. E’ stato calcolato che per sminare il territorio afgano occorrerebbero più di 150 anni. Per entrare più nel dettaglio, molte di quelle mine anti-uomo sono progettate apposta per mutilare il malcapitato senza ucciderlo, in modo che risulti un peso economico e morale sulla popolazione locale; alcune sono fabbricate appositamente per attrarre i bambini (anche da fabbriche italiane).
2003: Iraq. La sfrontatezza degli Stati Uniti arriva a teorizzare la “Guerra Preventiva” (nemmeno Hitler era arrivato a tanto) e lo stato di “Guerra continua”. Anche in questo caso viene messo su un governo fantoccio e si aggrava la situazione politico sociale interna, dando il via ad una vera e propria guerra civile. La motivazione della guerra è da imputarsi al presunto possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime iracheno, cosa che anche gli U.S.A. hanno poi dovuto dichiarare priva di fondamento. Tutti i crimini imputati al raìs di Baghdad sono avvenuti quando ancora era spalleggiato dagli stessi americani che avevano favorito la sua presa del potere. Il risultato è che oggi Al Quaeda ha un seguito nel paese, dove prima non trovava spazio, e che la popolazione si è divisa in tre tronconi, mentre i diritti delle donne vengono seriamente minacciati dalla maggioranza sciita del Paese. Con la dichiarazione delle nuove strategie irachene Bush Junior ha dovuto ammettere a denti stretti che gli americani non stanno vincendo.

Tutti gli Stati invasi sono disseminati di basi americane statunitensi, ed è chiara la debolezza delle organizzazioni internazionali di fronte alla forza bellica americana.

La domanda che viene spontanea farsi è: a chi toccherà, adesso? Siria? Iran? Filippine?

martedì 16 Gennaio 2007

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