Attualità

Integrazione: istruzioni per l’uso

Iza U.Wincewicz
Ci riguarda tutti e non può essere un movimento a senso unico
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Nell’Europa, Anno Domini 2006 siamo ormai abituati a vivere in una società multiculturale. Intorno a noi vediamo persone provenienti da diversi continenti del mondo; appartenenti a varie culture e religioni; legate a molteplici tradizioni. Sempre di più alla televisione, nei giornali, nelle radio si usano parole come integrazione, intercultura o multietnicità. Secondo il Rapporto sull’Immigrazione della Charitas, il numero degli stranieri regolari in Italia ammonta a 2.800.000. La maggior parte di loro si stabilisce al Nord e al Centro, ma anche al Sud; si tratta di un fenomeno crescente. Per quanto riguarda la Provincia di Bari, solo la domanda di nulla osta lavorativo è stata presentata da più di 4000 persone (quando la quota concessa è di 1444 unità). Anche senza le statistiche, vediamo la realtà multiculturale intorno a noi. Ma che cosa significa veramente integrarsi ? E che cosa pensano di questo processo i vari operatori ?
 
Uno dei più grandi centri interculturali a Bari è il Centro Abusuan  (tradotto nella lingua Akan della Costa d’Avorio: "la grande famiglia"). Tale centro, cerca di occuparsi di "ricreazione, formazione ed informazione interculturale" ed è "promosso da alcune associazioni italiane e straniere che operano nel campo dell’intercultura e della cooperazione sociale"; collabora attivamente anche con il Comune di Bari. Uno dei responsabili del Centro, ha una visione dell’integrazione molto interessante. Non vuole usare la parola "multietnicità", sostenendo che sotto sotto, il termine "etnia" è equivalente alla razza. Sottolinea che solo parlando di alcune zone geografiche, come ad esempio l’Africa, si ricorre a questo vocabolo, nello stesso tempo eliminando la parola "nazione" (eppure, dice Taysir Hasan, "non esistono gli stati puri"). Il termine "multietnicità" dovrebbe scomparire ed essere sostituto dal pluriculturalismo.

In effetti, seguendo il Glossario dell’Educazione Interculturale di Aluisi Tosolini, sotto la voce "Etnia – etnico" leggiamo, che il concetto di etnia e di etnicità è di difficilissima definizione. In etnologia ed antropologia culturale per etnia si intede un raggruppamento umano determinato in base a criteri di classificazione che possono essere di tipo molto diverso (linguistici, culturali, tratti fisici, ecc). Gli antropologi tengono comunque a precisare che il concetto di etnia è assunto unicamente come strumento di indagine e non come determinazione della realtà.

 In Italia, continua Hasan, esistono anche varie culture, usanze, tradizioni (incluse pure quelle culinarie), lingue (i dialetti), ma nessuno prova a chiamare  "etnia" ad esempio, i siciliani o brenneresi. Secondo l’operatore di Abusuan, quando esistono le identità forti non si può parlare di integrazione reale, perché imparare la lingua del posto, per gli immigrati, fornirgli le informazioni necessarie concernenti la cultura del paese ospitante è solo accoglienza, non integrazione. Dunque, il modello di approccio al fenomeno di immigrazione dovrebbe cambiare. "La conoscenza diretta, che include la storia, la cultura, la tradizione di chi arriva, senza minimizzare tutto al folclore" – questa è la strada da proseguire, suggerita dall’operatore dell’Abusuan. Il Centro partecipa all’organizzazione dei corsi di pedagogia interculturale universitari  e dei mediatori culturali. Purtroppo, non tutte scuole frequentate dagli alunni stranieri richiedono una figura professionale come il mediatore interculturale.

Un altro operatore del settore "immigrazione", la signora Silvana Serini – l’assistente sociale comunale che si occupa quotidianamente dei rifugiati e chiedenti asilo, sostiene che l’orientamento dell’amministrazione pubblica verso il fenomeno della migrazione è troppo concentrato su un semplice "controllo sulle persone". Ci si limita a pensare in termini di una "concessione" e non di una accoglienza; di una vera ospitalità.

Quando, dunque, possiamo parlare di un processo di integrazione adeguato o di una integrazione riuscita? – nel momento in cui un immigrato parla quasi perfettamente la lingua del paese ospitante, pratica le tradizioni locali, partecipa alla vita quotidiana della città della sede di residenza, lavora e manda i propri bambini a scuola con gli autoctoni, mantenendo tutto quello che appartiene alla propria cultura originaria per se, raccontando magari qualche curiosità folcloristica all’amico, momentaneamente incuriosito? Mi sembra troppo limitativo, ma purtroppo, ho potuto verificare diverse volte, che si tratta di un concetto abbastanza comune, spesso legato ad un pregiudizio verso le culture "provenienti" ritenute meno evolute civilmente e meno sofisticate.
Alcuni pedagogisti (ad esempio – Felice Rizzi) per integrazione intendono: la compresenza, la mutua accettazione, il reciproco cambiamento, la cooperazione delle diversità e non vogliono associare direttamente a questo termine una logica assimilativa. Lo studioso dell’intercultura – A. Tosolini, parla di integrazione come di un concetto prevalentemente sociologico, che, possa essere compreso bene con l’approccio sociologico. Seguendo questa chiave di orientamento, incrociamo la visione dei sistemi sociali di Giancarlo Milanesi, secondo il quale, l’integrazione comporta sempre (anche se attraverso un "teoricamente" libero consenso) l’accettazione di una struttura di valori.
Il dilemma sta nella specificazione di chi spetta la determinazione di questa struttura. Essa, non può essere definita unilateralmente (dal paese ospitante) perché non sarebbe in grado di rispettare la diversità di chi non partecipa in nessun modo al processo di definizione dei valori.

Una società europea contemporanea, diretta a relazionarsi sempre di più con una realtà pluriculturale deve capire bene il significato dei termini come integrazione e intercultura. Questo, non solo per costruire e rafforzare una convivenza pacifica tra gli stati e all’interno di loro, ma soprattutto, per creare una grande collettività umana, legata sinceramente e globalmente da un indispensabile valore, confessato da tutti – Rispetto Reciproco

venerdì 21 Aprile 2006

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