Politica

La Costituzione Italiana del 1948

Roberto Oliveri del Castillo*
una Carta che "canta" ancora
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La riforma della Costituzione recentemente varata dalla maggioranza di governo punta sostanzialmente a marginalizzare i poteri di garanzia rispetto al potere politico ed a costruire attorno a questo un fossato rispetto alla società civile e alle istituzioni che la difendono.
Per potere politico si intende ormai tutto ciò che ruota attorno alle istituzioni aventi legittimazione democratica, consistenti nel binomio Governo-Parlamento, e segnatamente nel Governo quale “comitato direttivo” del Parlamento, per usare i termini del  Presidente Onida.
Una riforma istituzionale complessiva che scredita e riduce a ruolo ancillare i poteri di garanzia proprio per svuotarne la funzione di “ limiti” alla sovranità popolare da cui derivano Governo e Parlamento, come espressamente indicato dall’art. 1 della Costituzione, o consentendone la “cattura” da parte della maggioranza parlamentare, come nel caso del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale, o riducendone il ruolo imbrigliandone e gerarchizzandone i ranghi ordinamentali, come è previsto accada per la magistratura con il prossimo ordinamento giudiziario.

Il complesso delle riforme in atto daranno una torsione in senso plebiscitario ed autoritario alla nostra struttura statale, in guisa da renderla irriconoscibile rispetto alle forme attuali, e rispetto alla quale l’epoca della “Costituzione congelata” sembrerà un’epoca felice.
Ma, fatto ancora più grave, le riforme faranno perdere alla nostra Costituzione il carattere oggi riconosciuto di “base fondamentale per la civile convivenza del Paese”, come recentemente ricordato dal Presidente Ciampi in occasione delle manifestazioni del 25 aprile a Milano, perché la riforma è imposta da una sparuta minoranza all’interno della coalizione di governo che ne ha fatto manifesto politico di sopravvivenza, così politicizzando in modo estremo e rendendo di parte il fondamento stesso, l’asse portante della nostra democrazia. 
Questo punto di snodo epocale della nostra democrazia non si spiega, se non in modo semplicistico, con l’ossessione da “amministratore unico” che turba chi oggi governa, o con gli appetiti secessionisti di un certo gruppo politico, ma viene da lontano.

Viene dagli anni in cui da destra a sinistra il messaggio era quello della “modernizzazione” degli strumenti istituzionali, in cui la responsabilità delle difficoltà nel governo del Paese erano attribuite al sistema istituzionale piuttosto che alle incapacità della classe politica a farlo funzionare, anni in cui la Costituzione è stata considerata un autentico “ferrovecchio” da mandare al macero, piuttosto che un patrimonio da mantenere integro ed al più da aggiornare, come ricordato più volte da esperti come Alessandro Pizzorusso e Gaetano Silvestri.
Ed i problemi che riscontriamo oggi provengono proprio da un mancato e tempestivo intervento integrativo, ad esempio indicando in ambito costituzionale, affianco a quello di ricostituzione del partito fascista, anche il divieto di costituzione di movimenti a sfondo xenofobo e secessionista, o prevedendo in costituzione il divieto di elettorato passivo di soggetti proprietari di mezzi di informazione di qualunque genere e tipologia.

Un ultima annotazione.
Oltre dieci anni fa, Norberto Bobbio, citando un saggio di Michael Walzer, ricordò come il liberalismo è l’arte della separazione, “un universo di mura ciascuna delle quali crea una nuova libertà”. Ad esempio, le mura tra Chiesa e Stato da una parte hanno consentito la libertà religiosa, dall’altro la libertà di pensiero e di ricerca scientifica, oltre i dogmi; La separazione tra società civile e potere politico crea la libertà economica e di pensiero; la separazione tra fra vita privata e pubblica crea la sfera della libertà personale. Così la natura specifica del liberalismo, e in particolare del liberalismo sociale cui è ispirata la nostra Carta per la confluenza di più esperienze ideologiche, può essere compresa soltanto quando lo si considera come “uno strumento atto a prevenire l’uso tirannico del potere”, anche quand’esso fosse riconducibile a forme democratiche di origine del potere.

L’unificazione dei poteri politici e dei poteri di garanzia previsto dalla riforma costituzionale in un solo uomo (tanto da far dire al Presidente Elia che si tratterà di un premierato assoluto), e che nella specie potrebbe assommarsi a chi già riveste una posizione apicale nell’ambito economico-imprenditoriale-mediatico, ha nomi notissimi nella teoria politica classica: Tocqueville la chiama dittatura della maggioranza, Montesquieu la chiama, più semplicemente, dispotismo.
Contro questo dispotismo travestito da pseudo-forme democratiche è necessaria un’opera paziente che sveli alla società civile l’inganno ordito ai suoi danni da chi parla di libertà e democrazia ignorandone e calpestandone i fondamenti, affinchè autentici e indipendenti poteri di garanzia restino i freni del potere politico.

Per questo è necessaria la massima mobilitazione per il prossimo referendum, per seppellire sotto una valanga di no una riforma delle istituzioni sbagliata e antidemocratica, che crea una dittatura del Presidente del Consiglio (pardon, Premier) su tutti.
Perché, dopo tutto, la Carta del 1948, a dispetto dei suoi detrattori, “canta”, ancora…

*Magistrato, segretario per il distretto di Bari di Magistratura democratica

 

lunedì 17 Aprile 2006

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