Era atteso per le cinque del pomeriggio, orario critico come ben sanno gli estimatori di Garcia Lorca. Ma alle cinque la piazza era semivuota, l’organizzazione non aveva ancora portato a Bari i 250/270 (non lo sapremo mai con precisione) pullmann previsti da tutta la regione.
Un’ora di attesa, per rimpolpare la piazza con i gruppi organizzati (20/25 euro a cranio, si mormora, con dono di maglietta Forza Italia, bandiera d’ordinanza, trasporto andata/ritorno e panino pagato).
Il centro bloccato sin dalle 15 (con relative simpatiche imprecazioni dei baresi che in questo caso sono assolutamente bipartisan) palco enorme (dieci metri abbondanti, bianco e blu ricavato da super tir, maxi schermo e coro di Forza Italia che però cantava in play back), pulpito centrale per Lui, opportunamente rialzato per consentirgli di arringare a debita altezza la folla che si presume osannante.
Dalla scenografia capiamo che sarà un monologo, il genere teatrale che indubbiamente gli riesce meglio. Il tempo passa, la gente si consola cantanto la trita canzone …..E forza Italia, che a sentirla venti volte di seguito sembra ancora più brutta di quella che realmente è, quasi sfiora in bruttezza e beceraggine la sigla di Telenorba, quella ululata da Albano.
I cronisti, rassegnati ed esauriti dalla peggior campagna elettorale si sia vista negli ultimi venti anni, sperano che almeno porteranno, come si dice, il pezzo a casa e aspettano.
Vaghiamo per la piazza, che man mano si riempie. Fitto si è dato da fare, mobilitando i suoi peones entusiasti della paghetta e della gita a Bari. Quelli di Alleanza nazionale, sparuti e un poco intimiditi, si tengono defilati, sperando di rifarsi domenica mattina, quando tra il botto di Punta Perotti e l’onda di polvere, ascolteranno Fini a Piazza del Ferrarese. E li ci saranno solo gli aficionados, senza mercenari in delirio come è anche sin troppo evidente, anche a un occhio poco esperto, sta accandendo in Piazza Prefettura.
Saliamo intanto al primo piano di palazzo di città. Stretti sui balconcini, i giornalisti disputano pochi centimetri quadri con curiosi e perditempo. Poi resteremo quasi solo noi giornalisti. Io divido lo spazio con l’addetto stampa di Angela Filipponio e Renzo Belviso, di Bari radio città futura, in missione per conto della BBC.
Dal balcone vediamo un gruppetto di fan di Filippo Melchiorre che inneggiano al loro idolo appena apparso sul balconcino accanto. Le pose littorie non gli si addicono, è un bravo ragazzo Filippo e non è mai stato un fascista vero. Fascisti veri sono quattro o cinque tizi muniti di bandiera inneggiante all’alleato più impresentabile e scomodo di Berlusconi, la trimurti mussoliniana, con tanto di fronte nazionale e fiamma tricolore.
Ma il resto è tutta Forza Italia: le truppe cammellate di cui parla Fassino, la folla ideale per chiunque voglia sentirsi rassicurato dal consenso. Gente che applaude quasi a comando, appena vede sul maxischermo l’ampia fronte del capo apparire fardata dal Congresso degli Stati Uniti. Per ingannare l’attesa, infatti, stanno dando il famoso discorso del cimitero americano, quello del giuramento sulla tomba dei caduti per noi italiani, che ci hanno salvati dal nazismo e dal comunismo (?).
Ormai il ritardo sfiora l’ora e un quarto: diecimila, dodicimila persone ci sono e sul palco sale il coro che canterà in playback. La gente capisce che ormai ci siamo. Lui arriva in un tripudio di macchinoni scuri, dalla parte di piazza Massari.
Il servizio di sicurezza imponente ma forse meno brutale del solito, lo guida nel solito bagnetto di folla preliminare all’ingresso trionfale sul palco. Una camera mobile racconta a chi è in piazza i movimenti del Capo, la selva delle bandiere si agita, Tommy Attanasio, Consigliere regionale di Aenne conta goloso le presenze e mi dice entusiasta: ammetterai che l’organizzazione è perfetta. Non commentiamo un po’ per deontologia professionale un po’ per non ricordare a Tommy che le adunate oceaniche con un Uomo Solo sul Pulpito non hanno mai portato bene, se non ai Papi e qualche volta manco a loro.
Il Capo sorride e si guarda attorno: vede un gruppo di scalmanati che intonano saltellando "chi non salta comunista è" e, sciatalgia permettendo, saltella anche lui di pochi centimetri giusto per compiacere la folla.
Prendiamo il bloc notes e la penna e speriamo di poter iniziare il nostro lavoro. sarà ancora una lunga attesa. Il Capo annuncia che, avendo deciso di rinunciare la dono della sintesi, rischiamo di restare lì fino alle dieci e un quarto. Ondata masochista di goduria: le bandiere vibrano e la folla ulula, per far capire al padrone che non vogliono altro dalla vita.
E poi inizia la prima serie di domande retoriche a risposta fissa e urlata:
Volete voi chi distrugge tutto ciò che costruite? che Odia tutto ciò che amate? che mette un’ipoteca di tasse sul vostro futuro ecc ecc? Con relativa selva di no, urlati all’unisono nella reciproca esaltazione dell’ovvio. Il nostro blocco è ancora intonso: aspettiamo ancora che ci dica qualcosa di nuovo, che non abbiamo già sentito e che, soprattutto ci permetta di dire ai nostri utenti qualcosa sul programma della casa delle Libertà per il prossimo quinquennio.
Sarà una lunga ed inutile attesa. Il copione è quello consoliato e si dipana sulle solite accuse a Prodi, sul pericolo comunista, sulla confusione che regna fra gli avversari. Uffa che palle…sempre la stessa solfa.
Chiudiamo il bloc notes, ci districhiamo dal balconcino, salutiamo gli amici e gli avversari presenti e ce ne andiamo in redazione. A scrivere quello che state leggendo. E non ci piace affatto.