Verso il voto

«Non abbiamo bisogno di commissari. Ogni voto comprato è un voto venduto»

Michele Laforgia
Michele Laforgia ha tracciato la rotta del suo impegno in vista delle Primarie e delle elezioni amministrative
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Ecco il discorso integrale di Michele Laforgia di domenica mattina al Palalaforgia di Bari, a chiusura dell’iniziativa “Bari per tutte. Bari per tutti. Le nostre idee per la città, per Michele Laforgia candidato sindaco di Bari”.

«Oggi non è un giorno come gli altri. Il 24 marzo del 1976 Jorge Rafael Videla, per l’Esercito; Emilio Eduardo Massera, per la Marina; Orlando Ramòn Agosti, per l’Aeronautica posero fine, in una notte, alla democrazia in Argentina. Un Paese che, come gli Stati Uniti, un po’ tutti i Paesi europei e l’Italia, aveva conosciuto dieci anni di contestazione giovanile. Quei giovani erano nati in buona parte negli ambienti cattolici: erano cresciuto con la teoria della Teologia della Liberazione, della dottrina sociale del cristianesimo.

La reazione avvenne con le armi, dando vita, ai colpi di Stato in Brasile, Uruguay, Perù, Bolivia, Paraguay, Cile, e, nel 1976, in Argentina. Erano i paesi del “Piano Condor”, che prevedeva la collaborazione dei regimi militari nella persecuzione degli oppositori politici anche oltre i propri confini. Noi eravamo distratti. Dopo il Cile, che aveva portato tutti in piazza, l’Argentina passò quasi sotto silenzio. Avevamo altro a cui pensare. Nel 1976, poche settimane dopo il golpe, le Brigate Rosse uccisero il magistrato Giuseppe Coco e i due militari della sua scorta. Si consumò così una immane tragedia: 350 centri clandestini di detenzione, torture, esecuzioni sommarie, squadroni della morte. E centinaia di neonati furono strappati alle madri, uccise dopo il parto, e affidati a famiglie di militari, perché non crescessero sovversivi. Alcuni di loro hanno ritrovato 45 anni dopo le loro famiglie di origine.

Cosa c’entra tutto questo con me, con noi, con questo posto, con la mia candidatura a Sindaco di una città del Sud? Proprio oggi uno dei sopravvissuti di quella carneficina ha rilasciato una lunga intervista sull’inserto letterario del principale quotidiano italiano. Si chiama Miguel Abusayag, filosofo, psicoanalista e attivista. Era un giovane rivoluzionario, nel 1976, fu arrestato, torturato e dopo quattro anni fuggì in Francia, dove da trent’anni si occupa delle periferie di Parigi, con una associazione impegnata nel sociale.

E dice: “Il pessimismo è un lusso che chi vive nelle banlieue non può permettersi”, “E’ possibile abitare il nostro presente in modo diverso, come una realtà di gioia”. Come? “Non è difficile: essere solidali, onesti, amare. Il pessimismo è sempre reazionario perché gli uomini tristi hanno bisogno della tirannia per giustificare il loro stato d’animo”. E mancano di rispetto a chi ogni giorno si sveglia per costruire la sua vita e quella delle persone a cui vuole bene. È tutto qui, non c’è bisogno di aggiungere altro. O meglio, tutto il resto è conseguenza. Lo hanno detto le persone che sono intervenute oggi. Hanno spiegato meglio di me chi siamo, perché siamo qui, cosa pensiamo e cosa vogliamo fare. Perché noi crediamo davvero nella politica, nella partecipazione, nella democrazia. Non abbiamo bisogno di ripeterlo, dopo la grande manifestazione di ieri.

Non abbiamo bisogno di commissari. Vogliamo essere padroni del nostro destino, forti di quello che abbiamo costruito in questi venti anni. E consapevoli di tutto quello che abbiamo ancora da fare, perché sappiamo che c’è sempre altro da fare, e che si può sempre fare meglio. Ma chi nega gli enormi passi in avanti che ha fatto la città e la Regione negli ultimi vent’anni nega la realtà, e vuole solo farci tornare indietro. Lo dico io, che tra i miei difetti non ho la piaggeria e l’accondiscendenza. È merito nostro, di noi tutti, di tutti coloro che in questi anni hanno operato per il bene della città, spesso in silenzio, in modo anonimo, senza la luce dei riflettori, lontani dai social network. Il cambiamento è sempre effetto di una spinta collettiva, di un moto di popolo.

Ma questi venti anni hanno anche nomi e cognomi: Michele Emiliano e Antonio Decaro. Piaccia o no, ci convincano sempre o no, ci siano sempre amici o no, senza il loro impegno, probabilmente non saremmo qui, oggi, dopo vent’anni e questo glielo dobbiamo riconoscere. Non gli abbiamo risparmiato critiche, quando non siamo stati d’accordo. Ma siamo sempre stati, e saremo, dalla stessa parte, perché qui non ci sono trasformisti, ci sono persone che hanno a cuore il bene comune. Siamo dalle stessa parte perché siamo egoisti, perché abbiamo imparato che le povertà e le ingiustizie rendono tutti infelici, non solo chi le subisce. E noi non vogliamo essere infelici, vogliamo continuare a occuparci della nostra città. Lo facciamo già, nel nostro lavoro, nelle nostre azioni quotidiane.

Vale per la Giusta Causa, i partiti, i movimenti, le associazioni, per tutti quelli che si occupano di politica. Questo impegno vale anche per quelli non sostengono la mia candidatura. Quando si dice che c’è un candidato sostenuto da alcuni e un candidato sostenuto da altri, si fa un’operazione divisiva: noi siamo tutti candidati del centrosinistra, dell’alleanza progressista, degli elettori, degli iscritti, dei movimenti, delle associazioni, delle persone, compreso il Partito Democratico, che è anche qui, con noi, e non è ospite.

Non dobbiamo inventarci nulla. Non è questo il momento per sciorinare dati e presentare rendering. Lo abbiamo già fatto e continueremo a farlo, ma in realtà lo abbiamo fatto tante volte in questi anni e continueremo a farlo comunque negli anni a venire. Di una cosa potete star certi: noi da qua non ci muoviamo, non ci siamo mai mossi, siamo sempre stati qua, qualcuno non ci ha visto arrivare, qualcuno non ci ha sentito, ma noi siamo stati sempre qui.

Bari città giusta, con meno povertà, con meno ingiustizie. Mettiamo un primo punto nel programma del centrosinistra: non parliamo più di periferie, le periferie sono uno stigma, un modo per definire quello che per noi è ai margini e non solo in periferia, a volte dietro l’angolo delle nostre case, a poche centinaia di metri da centro e dalle strade dello shopping. Abbiamo parlato di città policentrica, dove i servizi, il verde, le attrezzature per lo sport, la Polizia locale devono essere distribuiti in tutto il territorio della città: se non ci sono, ovunque mancano, quella è periferia e poi diventa ghetto, e poi diventa serbatoio della devianza e della criminalità, come sanno tutti coloro che nelle periferie abitano e lavorano. Possiamo fare delle cose per i nostri quartieri: il vigile di quartiere; migliorare la mobilità urbana, perché chi deve attraversare la città non sia più costretto prigioniero di un’auto, perché il traffico privato di questa città ci sequestra e dobbiamo trovare un modo per limitarlo. E chi ne vuole fare a meno deve affidarsi all’incerto tracciato delle piste ciclabili, che sono un bene comune. Bene ha fatto il Comune a fare le piste ciclabili, dovrebbe farne di più, forse il centro di Bari dovrebbe essere una gigantesca pista ciclabile nella quale le persone si muovono a piedi o in sicurezza, magari evitando di dover guardare sempre a terra per evitare di finire per terra, perché le nostre strade sono un pericolo e non una risorsa per chi decide di andare in bicicletta.

Vogliamo una città inclusiva, a misura dei giovani, degli anziani, degli uomini e delle donne, che attui le politiche di genere e promuova i diritti civili, contro ogni forma di discriminazione, anche della comunità LGBTQIA+. Vogliamo una città in cui la cura per l’ambiente sia al centro del programma di governo che significa fermare il consumo di suolo, provvedere alla rigenerazione dei quartieri degradati, aumentare le aree a verde (orti urbani, parchi, giardini), promuovere le comunità energetiche e togliere i rifiuti dalle strade. Poi riprendiamo il percorso per l’approvazione del PUG. Sappiamo che è difficile, decidere lo sviluppo della città dei prossimi anni è
complicato, significa mettere insieme non soltanto una visione tecnica ma anche contemperare gli interessi: ma il governo del territorio è un grande atto di democrazia, è la prima lotta alle diseguaglianze. Un territorio che cresce senza una visione, è un territorio che inevitabilmente segue il potere del denaro, dei rapporti clientelari, il
potere che non lavora per il bene comune. Quindi lo sappiamo che è difficile ma proprio per questo lo vogliamo fare. Dobbiamo farlo senza perdere altro tempo, magari anticipando i vincoli e le tutele che impediscano di continuare lo scempio della distruzione dell’architettura del 900 e delle ville storiche, com’è stato
autorevolmente proposto da Angela Barbanente.

Anche questa è cultura, anche questa è conoscenza. Bari città della conoscenza, come ha proposto il Magnifico Rettore Stefano Bronzini. Abbiamo due grandi università pubbliche e una università privata, un distretto industriale che vanta eccellenze assolute, ma insiste in un’area disagiata, una periferia. Abbiamo fatto molto ma c’è ancora molto da fare. Dobbiamo garantire sicurezza a tutte e a tutti. Sicurezza di non essere aggrediti e derubati, ma anche sicurezza di una casa – non di un alloggio – di un lavoro, di un sostentamento e di una rete di solidarietà se per qualsiasi ragione si precipita nel baratro della povertà. Sicurezza è anche poter circolare in città e usufruire dei servizi pubblici per i disabili, poter entrare nei negozi del centro, fare un bagno a mare. Istituiamo il garante, premiamo chi abbatte le barriere architettoniche.

Infine, la politica. Molti cittadini sono arrabbiati, si sentono poco considerati, non si fidano più delle parole, non vanno più a votare. Hanno ragione, ma hanno anche torto. La politica si occupa di noi, ma siamo anche noi ad occuparci di politica e dei politici. Ogni voto comprato è un voto venduto. E noi dobbiamo avere il coraggio di guardare le persone in faccia e dirglielo, che ogni voto venduto è una cambiale in bianco rilasciata a chi lo sta comprando e a volte sono gli stessi clan criminali che poi passano all’incasso. Giù le mani da Bari significa anche giù le mani dal voto libero, gratuito e consapevole. Ha ragione Antonio Decaro: la città non è di nessuno, è di chi la abita e la vive, di chi ci lavora, di nessun altro. Nessuno se la deve riprendere. Stiamo facendo una lotta non per comandare ma per metterci al servizio della città.

Oggi è la domenica delle Palme, l’inizio della Settimana Santa. Oggi, per tradizione, si scambiano ramoscelli di ulivo. Bari città della pace significa anche “cessate il fuoco”. Basta con le guerre, basta con i bombardamenti, basta con le vittime, basta con i bambini, con l’occupazione di Gaza, con la vendita delle armi.

Dicono sempre che non sorrido, che dovrei farlo di più. Lo diceva sempre mia madre, e aveva ragione. Ma accade perché prendo maledettamente sul serio quello che faccio e, contrariamente a quello che si pensa, penso spesso, quasi sempre, di non essere all’altezza di quello che faccio e ho il terrore di non essere all’altezza delle aspettative e delle speranze mie e delle persone che sono in questo momento con me. È la stessa speranza che ho visto negli occhi di tante persone oggi, soprattutto dei ragazzi e delle ragazze, e di cui sono, nello stesso tempo, orgoglioso e spaventato. Oggi siamo nel PalaLaforgia, intestato a mio zio, grande uomo politico e di sport. A volte avere una storia famigliare con la mia, che è una enorme risorsa, io sono una persona fortunata, è anche un peso, perché c’è sempre una distanza tra quello che senti di essere e quello che ti credono gli altri e a volte questa distanza è addirittura insopportabile. Ce lo ha insegnato, tragicamente, Alexander Langer.

Ma oggi è una giornata di festa, e dobbiamo sorridere con fiducia, con speranza e con la certezza, nei nostri cuori, che stiamo facendo, insieme, quello che è giusto. E che abbiamo già vinto, prima del 7 aprile e dell’8 e 9 giugno».

lunedì 25 Marzo 2024

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Annalisa
Annalisa
1 mese fa

I baresi hanno bisogno di chiarezza su certi rapporti coi clan. I suoi alleati non ne fanno e non mi pare proprio che lui gliela chieda con decisione.

Annalisa
Annalisa
1 mese fa

Strano che un penalista del suo calibro non riesca a pronunciare su Gaza termini come crimini di guerra, genocidio, massacri. Dire “cessate il fuoco” senza spiegare a chi lo si chiede è un espediente.

Annalisa
Annalisa
1 mese fa

A Decaro e a Emiliano piacciono i commissari ma solo se si chiamano Lolita Lobosco

Annalisa
Annalisa
1 mese fa

Il problema vero, qualunque cosa venga accertata, è che migliaia di baresi hanno riso e applaudito in piazza all’aneddoto di Emiliano su Decaro affidato alle cure della sorella del boss Decaro. Nessuno di loro ha obiettato, neppure quelli di Giusta Causa.