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Gismondi: «Bari sia una città giovane capace di attrarre talenti e investimenti»

Nicolò Marino Ceci
Il giuslavorista barese intervenuto in un dibattito della Filcams Cgil a Terlizzi. Ai giovani: «Specializzarsi al massimo, affinare tecnica e imparare un mestiere, possibilmente di nicchia»
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Nella giornata del 18 novembre la Cgil ha organizzato una mobilitazione nazionale per denunciare ad alta voce la drammatica crisi sociale che stiamo vivendo, reclamando un giusto ruolo da protagonista nelle incessanti consultazioni che vedono approdare il disegno di legge del “Jobs Act” nella aule Parlamentari.

Coinvolto dalla Filcams Cgil, nell’ambito di un incontro svoltosi nella città di Terlizzi, l’avvocato Francesco Gismondi – giuslavorista barese – ha delineato il quadro degli appalti in Italia e la loro sempre maggiore incidenza sul mercato del lavoro, con conseguente modificazione dei contratti collettivi più diffusi nel nostro Paese.

Come coniugare la sempre più feroce concorrenza globale con le tutele e i diritti dei lavoratori? L’abbiamo intervistato.

La disoccupazione giovanile è al 44%. Il Jobs Act è la risposta giusta?
«Il primo “Jobs Act” ha puntato su una propulsione del lavoro a termine e della somministrazione a tempo determinato. Tali strumenti creano occupazione sole se finalizzati al far conoscere al datore di lavoro le potenzialità del lavoratore e specularmente a quest’ultimo per far conoscere al proprio datore le proprie attitudini professionali. Il secondo Jobs Act – il cui disegno di legge governativo è stato da poco licenziato dal Consiglio dei Ministri – cambia filosofia: un contratto unico con tutele crescenti. Pur essendo prematuro commentare disegni di legge non ancora esaminati dal Parlamento, osservo che il problema italiano non è il numero di tutele che si riconoscono al lavoratore ma la possibilità di valutarne la produttività e sgravare il costo del lavoro». 

“L’appalto è il futuro del lavoro”: che significa?
«La maggiore specializzazione produttiva è il passato, il presente e il futuro: rispecchia il progresso tecnologico. L'affidamento a soggetti specializzati di parte di una lavorazione è pertanto una richiesta del mercato cui la disciplina dei rapporti di lavoro deve confrontarsi».

Cos’è l’outsourcing?
«È l'effetto della segmentazione del processo produttivo: ogni impresa si è specializzata nel proprio settore e concorre nella creazione del prodotto finale. Ecco la necessità degli appalti».

Per un attimo s’immagini fotografo: qual è la foto del mondo del lavoro nella provincia barese?
«È un mondo che sta vivendo un momento di grande transizione: lo dimostrano il numero crescente di imprese giovanili. Dobbiamo richiamare investimenti che sappiano intercettare le idee dei giovani. Ci troviamo infatti ad un bivio: o si scommette sulla novità e sull'innovazione, come è successo per le generazioni passate o il tessuto produttivo muore e con esso il lavoro». 

Che incidenza hanno le imprese straniere – in termini di presenza e qualità del lavoro – in provincia? 
«La presenza straniera sul nostro territorio è legata ad un periodo economico favorevole in termini di incentivi e sgravi: ha creato ricchezza e patrimonio professionale. Oggi, a causa della ristrettezza economica (soprattutto in termini di incentivi), necessitiamo anche di una politica che trattenga le professionalità acquisite e che faccia sì che le stesse attraggano investitori e a loro volta si tramutino in nuove piccole imprese di eccellenza».   

Cosa è rimasto della Legge Biagi del 2003?
«Il decreto Biagi ha iniziato da poco ad essere pienamente operativo. Penso ad esempio allo sviluppo della somministrazione di lavoro (ex agenzie interinali) che è sostanzialmente una forma di internalizzazione del lavoro: rappresenta un importante cambiamento di approccio culturale al tema del lavoro. L’imperativo è valorizzare le professionalità maggiori in capo ai migliori lavoratori selezionati da agenzie specializzate».

Offra tre consigli ad un giovane in cerca di fortuna.
«Specializzarsi al massimo, affinare tecnica e imparare un mestiere (possibilmente di nicchia). E rivendere la propria professionalità o in forma subordinata o in forma autonoma».

Perché non andare via da Bari?
«Bari è una città di forti contraddizioni ma anche di picchi di eccellenza: puntare su queste ultime valorizza noi e la nostra comunità. Dobbiamo smettere di pensare alla città come gestita da un burattinaio: riappropriarsi del proprio contesto produttivo significa concorrere al benessere sociale, ognuno nel proprio piccolo. È questa l'idea di una città giovane e capace di attrarre investimenti e trattenere talenti».
 

sabato 22 Novembre 2014

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