Attualità

Il sociale che c’è e non c’è

Marilina Miacola
MA nessuno ha ancora stabilito gli standard delle prestazioni sociali
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Dal titolo “Il sociale che c’è” si è tenuto oggi a Bari presso la Fiera del Levante il convegno organizzato dall’Ordine nazionale degli assistenti sociali nell’ambito della XXIV assemblea annuale dell’ANCI, contesto ad hoc per rimarcare il ruolo dei Comuni, quale punto nevralgico delle politiche sociali.
Emerge un dato costante per la categoria degli assistenti sociali: il sociale c’è nella forma ma non proprio nella sostanza a causa della mancanza di personale adeguato, del mancato coinvolgimento dei professionisti negli uffici di piano, dell’assenza di un ‘integrazione socio-sanitaria che risponda agli orientamenti dettati dalla legge 328/2000, ma anche dall’errata percezione del servizio sociale professionale.
“Il servizio sociale professionale può essere inteso come disciplina, come lavoro degli assistenti sociali, ma anche come meta istituzione”- afferma Franca Dente, vicepresidente del Consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali, secondo la quale la confusione che vive la categoria non è casuale:ciò è legato ad un processo di identificazione professionale che ancora oggi richiede un’appropriata rivalutazione dei profili.
“Ma il rischio di demansionamento deriva anche dalla mancata integrazione tra sanità ed enti locali”- afferma il presidente di Federsanità ANCI, Piernatale Mengozzi, secondo cui è necessario un progetto unitario che garantisca una risposta complessiva alle esigenze dei cittadini superando la frammentarietà delle politiche sociali nell’ottica della globalità del bisogno e della sussidiarietà.
Uno dei punti nodali della questione sta nella formazione scientifica dell’assistente sociale.
A sollevare questo aspetto è Giuseppe Acocella vicepresidente del CNEL secondo cui la letteratura di questa professione è ripetitiva, disincarnata, astratta.
“Abbiamo una miriade di competenze che necessitano unitarietà: dunque non esiste un’identità professionale forte”.
La debolezza della categoria è visibile anche nella dirigenza dei servizi.
Ne parla Gemma Azuni, presidente della Commissione politiche sociali del Comune di Roma che sottalinea la presenza di diversi attori sociali nella redazione dei piani di zona: tutti meno che gli assistenti sociali.
“I sistemi spesso sono adeguati al bisogno manifesto e non a quello latente, afferma Giuseppe De Robertis, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali della regione Puglia..
Questi sistemi semplificativi domanda-prestazione comportano la rarefazione dei sistemi sociali”.

Un aspetto fondamentale che sottolinea De Robertis è la riorganizazione della rete: “la nostra Puglia ha una situazione variegata ma la Regione non si è ancora espressa in tal senso.
Penso sia urgente che il legislatore si esprima sui livelli essenziali delle prestazioni sociali”.
Un’esperienza positiva a conclusione dei lavori che lascia ben sperare in un futuro di risposte è quella di cui si fa portavoce Mirella Zambello, assistente sociale da 22 anni, di cui 11 da amministratore, prima in qualità di assessore ai servizi sociali e poi di sindaco al suo secondo mandato al comune di Villadose (RO).
“Amministrare il territorio attraverso le competenze è un connubio ideale che auguro a tutti i colleghi”afferma la Zimbello.
Al convegno hanno partecipato, inoltre, Orazio Ciliberti, vicepresidente ANCI, Susi Mazzei , assessore alle politiche sociali del Comune di Bari, Elena Gentile, assessore politiche sociali Regione Puglia, Piero D’Argento, Formez, Marco Fiorentino, sindaco di Sorrento, Gennaro Izzo, responsabile del piano di zona di Napoli 13, Elisabetta Kolar, ambito distrettuale del Cividalese-Udine, Giovanna Paravicini, assessore del Comune di Opera (Mi).

sabato 23 Giugno 2007

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