Cronaca

Il sorriso della tranquillità: storia d’amore tra Bari e Chernobyl

Paola Mammarella
La testimonianza di Franco Martiradonna, padre affidatario di Andrej
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Apre la porta sorridente Andrea, gli occhi vivaci e curiosi. Poi scappa via, un po’ per timidezza, un po’ perché preso dal suo videogame. Sul tavolo della cucina le carte da gioco, traccia di un allegro passatempo familiare.
Andrej è uno dei 200 bambini ucraini atterrati a Bari –Palese il 17 dicembre. Se ne attendono altri duecento in questa settimana pre – natalizia. Tutti hanno trovato ospitalità presso varie famiglie pugliesi attraverso il Ministero delle Pari Opportunità per il progetto salute.
“Esistono tante onlus” spiega Franco Martiradonna, padre affidatario di Andrej, che lamenta però una eccessiva burocratizzazione. “Le informazioni sulle normative sono scarse” afferma, riferendosi alla necessità di dover reperire notizie frastagliate tra l’Ufficio per le Pari Opportunità, il Ministero degli Esteri e quello degli Interni.
I progetti già avviati sono molti. Coinvolgono Paesi del terzo mondo, il Vietnam, il Brasile e sono in piedi contatti con la Cina. Rimane invece ferma la situazione con la Bielorussia dopo i fatti di Genova che hanno visto i genitori “a tempo determinato” della piccola Maria nasconderla per impedire il suo rimpatrio. I bambini affidati alle famiglie italiane possono soggiornare fuori dal proprio Paese 90 giorni in un anno. Partono per diverse destinazioni in Europa e America. Possono posticipare il rientro solo per motivi di salute, “a parte la volta in cui, per ordine delle autorità, abbiamo dovuto riconsegnare il bambino nonostante avesse la febbre alta” racconta Franco. Provengono solitamente da famiglie non abbienti o da istituti. “Non orfanotrofi, ma veri e propri brefotrofi” precisa. E aggiunge “Sono bambini che vivono un dramma, diversi dai nostri, già autosufficienti. Non hanno mai conosciuto i loro genitori e cercano affetto”.


Lo Stato fornisce loro l’istruzione e il minimo indispensabile per vivere. Rimangono in istituto fino ai 18 anni, poi escono e “devono continuare ad arrangiarsi”; fuori, in un contesto sociale povero, dove emerge la netta differenza tra la capitale, l’imponente autostrada a otto corsie tra Kiev e Odessa e i villaggi con le strade sterrate.
Quando arrivano i bambini si integrano nella vita della famiglia ospitante; si creano legami forti e ripartire è sempre un momento difficile. In Italia conoscono una nuova realtà, ma senza tralasciare le proprie radici culturali. A questo serve la celebrazione del Natale ortodosso il 7 gennaio, officiato l’anno scorso nella Chiesa Russa, per cui si prevede una replica anche quest’anno.


Durante la permanenza nel nostro Paese le fondazioni non prevedono incontri tra i ragazzi, che spesso sono ospitati in luoghi lontani tra loro. Nello stesso modo ogni Onlus agisce secondo un proprio programma, senza costituire una rete nazionale o regionale capace di far circolare più agevolmente le informazioni.
Non esiste un processo selettivo delle famiglie affidatarie. “Chi sente questa predisposizione fa domanda” afferma Franco Martiradonna, che spiega “dipende dalla maturità della famiglia”. Questo perché le famiglie si fanno carico di tutto, dalle spese per il viaggio alle necessità durante il soggiorno. Non è prevista una copertura, seppur parziale, neanche per l’assistenza sanitaria, di cui i bambini possono beneficiare solo a pagamento. “Lo Stato potrebbe impegnarsi per risolvere questo controsenso” lamenta Franco, non spiegandosi come si possa negare l’assistenza medica gratuita a dei ragazzini che vengono in Italia proprio per curarsi con il progetto salute.
C’è ancora bisogno di tempo e organizzazione. Per fare in modo che le fondazioni interagiscano tra loro e creino una rete con le famiglie. Per far sì che i piccoli ospiti trovino in Italia non solo affetto, a anche servizi efficienti.

domenica 24 Dicembre 2006

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