Cronaca

Quando si muore da giornalisti

Fortunata Dell'Orzo
Che la sua morte serva almeno a svelare al mondo la vera natura del regime di Putin: tutto tranne che democrazia
scrivi un commento 4561

Nel 1970, in una serata afosa di settembre, scompariva nel nulla un cronista italiano dell’Ora, il mitico giornale  “controcorrente” di Palermo, da sempre antagonista del più governativo e tranquillo “il Giornale di Sicilia”.


Di Mauro de Mauro, un passato da fascista e militare sotto Junio Valerio Borghese (quello della X M.A.S.), cronista di razza, cui Francesco Rosi aveva affidato la sceneggiatura del Film su Enrico Mattei (altro misterioso mortammazzato italiano, ai tempi della nascente industria petrolifera statale), non si è mai saputo più nulla, se non voci abbastanza incontrollabili di pentiti di mafia che, nelle ultime versioni, lo hanno dato per strangolato e gettato nel fiume Oreto di Palermo, colpevole di aver indagato sui rapporti fra golpisti di destra e cosa nostra.


Nel 1985, a Napoli, viene ammazzato con un’arma da fuoco Giancarlo Siani, 26 anni appena compiuti ed una brillante carriera di giornalista davanti. Un’indagine sulla camorra ha dato ai nervi al boss Gionta che ne ordina l’esecuzione praticamente sotto casa. Al contrario di quanto è avvenuto per De Mauro, mandanti ed esecutori finiscono dentro e vengono condannati per il delitto ordinato e commesso.


Nel 1994, a marzo, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (due giornalisti della Rai, il secondo telecineoperatore) vengono barbaramente uccisi a colpi di fucile a Mogadiscio, nella Somalia impazzita dell’operazione  così detta Restore Hope, in cui disgraziatamente partecipano anche militari italiani. A parte i soccorsi, tardivi e raffazzonati, che giungono a cadaveri ormai quasi freddi, l’inchiesta da parte delle autorità militari occupanti non cava un ragno dal buco. Come del resto quella della magistratura ordinaria italiana. Si dirà, ma tutto resta nell’aura caliginosa appunto del si dice, che Ilaria aveva messo il naso in un poco onorevole ed umanitario traffico italiano con qualche signorotto della guerra somalo. E questo ha fatto sì che giornalista e operatore fossero condannati a morte,


Mosca, ottobre 2006. Anna Politkovskaya, 48 anni, madre di due figli, giornalista di un periodico russo poco amato dal regime finanziario-militar-politico di Putin, viene uccisa sotto casa sua da quattro colpi di pistola. A sparare, per quel che se ne sa. è un uomo vestito di nero con un cappello di baseball in testa, inquadrato da alcune telecamere di sorveglianza che però non ci restituiscono il suo viso.


Spulciando i vecchi giornali e navigando pazientemente in rete, si può accertare che persino nello spinoso caso di de Mauro, le autorità italiane ebbero a esprimersi, con toni più o meno partecipativi, in occasione di queste tragiche e ben mirate uccisioni. Siani e la Alpi, poi, sono stati spesso citati (ed usati) da politici in campagna elettorale, forse per attirare l’attenzione di una certa fascia giovanile e alternativa di elettori.


In Russia no. Chi sta chiedendo giustizia è la gente comune, disgustata dallo straripare delle bande criminali che gestiscono di fatto grandi fette di potere in quel bellissimo paese. I (pochissimi e malridotti finaziariamente) giornali non governativi si sono come serrati attorno alla memoria di Anna che, ormai, è una martire della lotta per la libertà di stampa e per l’affermazione dei diritti umani.


Con la coscienza un po’ appesantita da alcuni misteri casalighi mai risolti, il governo americano sta chiedendo che si faccia luce e chiarezza su questo delitto. Delitto che non può che essere politico, come quello di Matteotti o dei fratelli Rosselli: sia che il mandante si identifichi con qualche anima prava del Cremlino, sia che lo stesso sciagurato dittatore ceceno (amico di Putin, come lo era Berlusconi. Ricordate “l’Amico Putin”? Ricordate la difesa d’ufficio all’ex comunista capo del KGB gabellato da Silvio come un campione di democrazia e un difensore dei diritti umani?) abbia incaricato qualcuno di togliere di mezzo quella rompiscatole che aveva svelato l’oscena alleanza fra governo russo e governo fantoccio ceceno, l’uso sistematico della tortura e i massacri perpetrati sulla popolazione inerme per mantenerla nel terrore.


Il comportamento omissivo e silenzioso del Cremlino sta, forse, svelando definitivamente al mondo degli illusi (alcuni in malafede però) qual è il vero volto del regime russo e quale sia la vocazione autentica del suo signore e padrone Vladimir Putin.


L’Europa ne tenga conto ed eserciti correttamente ogni lecita pressione perchè questa morte, almeno, non sia inutile. La Russia non è una democrazia, ma ci è talmente vicina e talmente correlata con la nostra storia ed il nostro futuro che mi sembra addirittura ovvio far presente al Cremlino che ce ne siamo accorti, siamo preoccupati e chiediamo a gran voce non solo giustizia per Anna, ma passi concreti ed immediati per la pacificazione vera della Cecenia e l’affermazione senza se e senza ma della democrazia in Russia.


Così a volte succede ai giornalisti: ti sembra d’esserti finalmente liberato della loro onestà intellettuale, del loro coraggio, della loro coerenza. Ed ecco che da morti sono ancora più pericolosi. Da morti fanno risuscitare quel bisogno di dignità e di libertà che sembrava defunto irrimediabilmente.


Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”

lunedì 9 Ottobre 2006

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti