Cultura

Il Principe Porcaro: i giovani talenti del Conservatorio omaggiano il grande compositore

Antonella Ardito
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Il Principe Porcaro, opera tratta dalla fiaba di Hans Christian Andersen, fu musicata da un Nino Rota bambino tra il 1924 ed il 1925.

Inedita, rappresentata solo alla Fenice nel 2003, questa partitura che fu sepolta per oltre ottant’anni fra le carte del Maestro, ora conservate alla Fondazione Giorgio Cini a Venezia, è stata di recente recuperata grazie anche a Nicola Scardicchio, allievo di Rota, che ne ha curato la ricomposizione per orchestra, andata perduta nel bombardamento di Milano durante la seconda guerra mondiale.

Ma l’allestimento curato da Scardicchio e dalla Ludovico, che è andato in scena al Kismet in questi giorni e che vedrà la sua ultima replica nel pomeriggio di oggi, ha avuto il grande merito di essere sì una fiaba per bambini ma anche un momento di spensieratezza per i grandi, nonostante il mancato Happy end finale.

Il libretto in tre atti prevede la presenza di un Christian Andersen (Vito Carbonara) e di Nino Rota (Augusto Masiello) sul proscenio, a ridosso dell’orchestra, che in questo dialogo immaginario raccontano la fiaba al pubblico.

La vicenda del Principe Porcaro ha una sua valenza fortemente educativa, come tutte le fiabe: qui una principessa (Tiziana Armagno), figlia di un Imperatore (Heo Chulsu) di un regno magnifico e truculento, gioca  a fare la capricciosa e l’altezzosa.

Ad un Principe (Giuseppe Cacciapaglia) giovane, ricco e bello che le manda in dono una rosa e un usignolo, manda a dire che non ha visto i suoi regali, dopo aver sfogliato la rosa e fatto volar via l’uccellino.

Costui per vendicarsi va a palazzo e trova impiego come guardiano dei porci, vero business del regno, che produce salamini e cotechini a volontà e ipnotizza la principessa con il suono di un misero organetto nei giardini del palazzo.

Lei lo chiede in dono ma il porcaro le chiede in cambio dieci baci: al nono irrompe l’imperatore, che scaccia la figlia disonorato dal suo comportamento.
La povera e sola principessa vaga nel bosco dove reincontra il porcaro che le chiede l’ultimo bacio per avere l’organetto: egli si rivela nella sua ricchezza e bellezza e la sua vendetta è compiuta, ritorna al suo castello lasciando la principessa a consolarsi con l’organetto.

Un vero inno all’andare oltre le apparenze, alla semplicità, questa fiaba.

Una spensieratezza da ritrovare in particolare nella celesta, piccolo piano che da vita a suoni dolcissimi, come da antico carillon, ma anche una forte presenza scenica dell’allestimento rococò e il doppio piano del palcoscenico, dove giochi di luci e proiezioni del laptop accentuano una modernità implicita anche in quel ritornello sui salamini, vera arte culinaria italica, che sarebbe un perfetto jingle pubblicitario nonostante la vetusta età di composizione dell’opera.

Il merito di questo successo va naturalmente a Scardicchio e alla Ludovico, in grado di coordinare tutti i giovani che compongono orchestra e cast, tanti ragazzi che studiano al Conservatorio Piccinni di Bari, l’istituzione che Rota ha diretto dal 1950 al 1976, maestri di fagotto e di grancassa e soprani e tenori con tanta voglia di dimostrare la loro bravura: questo il vero omaggio al grande genio di Nino Rota, dare spazio a quelli che almeno un pò sono figli suoi.

giovedì 15 Dicembre 2005

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