Cultura

Pupi Avati alla Feltrinelli di Bari

Leonardo Todisco
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Giovedi 10 novembre si è tenuto alla Feltrinelli di Bari l’incontro con Pupi Avati, durante il quale il regista ha intrattenuto piacevolmente il pubblico per circa un’ora parlando del suo ultimo film, "La seconda notte di nozze", della Puglia, del cinema e anche un po’ di se stesso.

Avati ha inizialmente esposto la trama del film: ambientato in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, narra la storia della vedova Liliana (Katia Ricciarelli), che a causa dei problemi economici decide di lasciare Bologna per trasferirsi col figlio Nino Ricci (Neri Marcorè) in Puglia, a Torre Canne, dove molti anni prima aveva conosciuto il marito, morto poi sotto i bombardamenti della guerra. Madre e figlio vanno quindi a vivere nella masseria del cognato Giordano Ricci (Antonio Albanese), fratello del marito defunto, che si era innamorato di Liliana 35 anni prima, e lo è tuttora.

Questo è solo l’inizio della storia tratta dal libro, scritto dallo stesso Avati, "La seconda notte di nozze" (Mondadori). Una storia che il regista ha voluto raccontare su pellicola per riportare in un suo film l’Italia, che ritiene sempre più assente nei suoi ultimi lavori. In questo senso il viaggio attraverso la penisola è stato un ottimo espediente per parlare del nostro Paese e dei suoi abitanti.

Il regista ha poi parlato di Katia Ricciarelli, tra i protagonisti del film nel ruolo della madre. Avati ha ammesso che scegliere un’artista come lei per il film ha provocato nell’ambiente molte perplessità, sucitate dal fatto che la Ricciarelli non aveva molta esperienza nel campo del cinema. Secondo il regista invece si è dimostrata una persona molto semplice, umile e disposta ad imparare quanto gli altri che lavorano più spesso nel cinema avevano da insegnarle, e alla fine è stata apprezzata da tutti.

Avati si è poi soffermato sulla scelta di Fasano per la proiezione della prima del film: si sente molto riconoscente ai luoghi in cui ha ambientato il film, che gli hanno consentito di girare anche gli interni, approfittando di una splendida masseria locale. Si è detto entusiasta anche alla gente del posto, che ha accolto la sua troupe cinematografica con gioia e curiosità, e che quindi si merita il privilegio di assistere al film prima degli altri.

Parlando del cinema italiano, il regista dice che apprezza molto il cinema nuovo e giovane che sta nascendo in Puglia, mentre non gradisce molti dei cortometraggi italiani, inclusi quelli la gente gli invia per farsi notare: li ritiene semplici fonti di autogratificazione per i loro autori, che impiegano troppo tempo a sistemare il loro nome nei titoli testa e di coda, mentre curano poco il resto della pellicola.

In seguito l’artista approfittando delle domande del pubblico ha parlato anche della sua vita e delle sue esperienze. Avati ha confessato di essere una persona molto timida, un po’ come alcuni suoi personaggi: "la timidezza  insegna ad osservare il mondo e gli altri, quelli più spigliati, che invece nella vita si esibiscono perdendosi molto di ciò che li circonda". Proprio la timidezza quindi gli ha consentito di diventare un ottimo osservatore, e quindi di avere oggi molte cose da raccontare nei suoi film. Secondo lui nella vita fa bene anche un po’ di timidezza o di sfortuna: "se i nostri grandi poeti fossero stati ricambiati in amore, oggi non ne avremmo nemmeno uno."

All’incontro, organizzato in collaborazione con Angelo Ceglie e Silvio Maselli col patrocinio dell’Assessorato alle Cultura di Bari e del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici per il ciclo "Pellicole a colloquio", hanno partercipato anche Antonio Avati, fratello del regista e produttore del film, e Cecilia Valmarana, responsabile delle produzioni e delle coproduzioni di Rai Cinema.

venerdì 11 Novembre 2005

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