Cultura

Il Santo e i Fedeli: San Nicola alla Mongolfiera di Japigia

Fortunata Dell'Orzo
Mimmo Cannarile "artista litomante" svela i volti di una fede che è anche ri-chiamo alla tradizione
scrivi un commento 8347

Sostanzialmente, dal giorno in cui la prima lastra fu impressionata dalla luce, l’invenzione è rimasta se stessa. La fotografia ha tutto nel suo nome: lasciare dei segni con la luce. È una sintesi potente di pensiero e azione. La stessa  delle grotte di Altamira, della Grande Piramide di Cheope, la stessa chiusa nel cristallo che, lieve o capriccioso, oscilla nel pendolino orientale. 

         Sin dal suo primo giorno di vita, la fotografia ha avuto bisogno di un catalizzatore, posto fra la luce e la lastra, poi divenuta più leggera e malleabile pellicola, ed oggi virtualissima elettronica, per compiere il suo scientifico miracolo. Ha bisogno di un cristallo, di una lente, di un filtro trasparente che imprigioni, rafforzi e convogli la luce verso la sua finale destinazione.

         L’intuizione, si sa, venne dallo studio anatomico e neurologico dell’occhio umano, non certo il più perfetto che la natura ha creato per il mondo animale, ma pur sempre un nobile occhio, supportato com’è dalla mente. L’occhio, si è detto, è una macchina fotografica naturale e la retina è la pellicola. E anche nell’occhio c’è un corpo trasparente e duro che si chiama, appunto cristallino. Il cristallo, dunque, è fondamentale.

         Lontane, tanto da essere praticamente irrintracciabili, sono le origini del culto umano per il cristallo, o dovrei dire meglio: i cristalli. Quelle concrezioni di pietra che una forza rimasta a lungo inesplorata e misteriosa ha costretto nelle algide forme di una geometria primordiale.  Non un sasso qualunque, ma un cristallo, diviene presto per l’uomo di tutte le latitudini e le pigmentazioni venerato oggetto di culto, ammirato soggetto di studio, nonché prezioso supporto per interrogare il futuro e scoprire il passato.

         Dominando la luce, il cristallo genera una sua realtà, tanto da far credere a più di un negromante che nella geometria sibillina della pietra trasparente si celassero altri mondi.  Ci sono cristalli che purificano la luce e altri che la turbano, la intorbidano, la flettono. Ci sono pietre trasparenti come l’acqua ghiacciata dove c’è chi giura di vedere la soglia di un mondo “oltre”, bianco e lattiginoso di una nebbia benigna, luce soffusa nella luce tersa, morbidi profili di gentili creature. E ci sono pietre corrusche e torbide, rossigne di fuochi eterni: dietro i loro angoli sghembi le creature del buio e della notte attendono avide i nostri occhi, per rapirci. Solo gli iniziati possono osare, possono socchiudere gli occhi per scrutare nel mistero.

Fra la luce e la pellicola c’è una lente biconvessa, un filtro per concentrare e indirizzare la luce, si è detto.  Un catalizzatore per cogliere particolari, prospettive, tagli e scorci di realtà. E cosa mai è una lente se non un cristallo sagomato dalla mano sapiente dell’uomo?  E cos’è mai il fotografo se non un artista litomante? Pensate forse che voglia immortalare l’attimo, un attimo qualsiasi?

         L’artista litomante sa quello che vuole dalla sua pietra trasparente e polita. Vuole che la pietra gli riveli l’invisibile di ciò che resterà inciso chimicamente sulla pellicola, o trasformato in informazioni digitalizzate.  Vuole leggere sulla stampa asciutta la verità ultima del suo soggetto, che l’occhio nudo non vede, che l’occhio mistico può intuire, ma che solo la pietra limpida può rivelare. Dalla luce scaturisce altra luce, che si addensa nelle ombre, ombre che ridono, o tacciono, ombre dense o trasparenti come veli, ombre corpose o sottili come trine. Luce che dà altra luce filtrata da un doppio cristallo.

         E sì, perché poi quella luce eternata sulla carta assume lo spessore e l’incanto, l’altezza e la profondità che solo il cristallo spirituale dell’artista litomante vuole farle assumere. Da qualche parte, fra il cuore e il plesso solare, non troppo lontano dalla mente sublime, l’artista litomante ha nel suo corpo il cristallo spirituale.  Solo il cristallo spirituale fa sì che un ritratto sembri vivo, o che un interno sembri, da un momento all’altro, in attesa del suo ospite. L’ultimo filtro, il più importante, sta lì.  Il mistero, l’anima dell’artista, sta racchiuso in quel cristallo. Dietro i suoi angoli armonici c’è tutta la luce dell’universo. C’è tutta la vita del mondo.

 Con questa mostra, Mimmo Cannarile dà un’altra lettura dell’unica vera tradizione che unisce Bari al suo passato e al suo futuro. La Sagra di San Nicola, con la sua capacità di riunire in città migliaia di persone che compiono il viaggio penitenziale per omaggiare il Santo di Myra, è un evento sociale e antropologico, oltre che religioso. L’unico che ci capita annualmente di vivere.

In quei volti, in quei colori, in quell’attesa devota e infantile, carica di speranze anche nei visi rugosi degli anziani, c’è tutta l’arte di chi, con l’immagine, racconta a tutto tondo la Storia di un Luogo e di un Tempo. E di chi la rende Mito sottraendola con arte e sapienza, agli insulti della memoria (cortissima) dei suoi contemporanei.

Dal 5 al 31 Maggio, Mongofiera Japigia

E’ un evento in media partnership Barlive.it

sabato 6 Maggio 2006

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti